Pisa Orologeria: Tutti i segreti del punto vendita più importante d’Italia
29 Giugno 2022Chiara Fiorentino: “Dal 1940 a oggi il piccolo laboratorio di mio nonno si è trasformato completamente ma il nucleo fondativo, il cuore pulsante, è sempre lo stesso da più di ottant’anni.”
Milano, tra le grandi città, è la realtà che dal Dopoguerra a oggi è cresciuta di più in Italia e anche in Europa se la gioca tranquillamente in una ipotetica top ten. Di pari passo, Pisa Orologeria – con la sua storia famigliare che ripercorre gran parte del Novecento e, in particolare, quella straordinaria del ramo femminile, protagonista degli ultimi cinquant’anni – è riuscita a fare un percorso analogo nel nostro amato settore, diventando il punto di riferimento del mercato nazionale e uno dei player più autorevoli del panorama continentale. Quali sono stati i segreti di questo incredibile successo? E tra presente e futuro quali sono le strategie per rimanere saldamente sulla punta dell’iceberg dell’orologeria italiana? Ascoltiamolo dalla voce di Chiara Fiorentino, ceo di Pisa Orologeria, e da quella del marketing & communication manager, Alessandro Bucchi.
In un mondo così orientato ad avere gli uomini al comando – in generale e in particolare nell’orologeria – qual è il valore aggiunto dato dalla vostra straordinaria visione femminile famigliare?
CF: Faccio rispondere Alessandro, sono evidentemente di parte…
AB: Il valore aggiunto è dato dalla complementarità della visione e dell’approccio. La diversità, anche e soprattutto di genere, è sempre un elemento di ricchezza in qualsiasi organizzazione sociale, aziende comprese. Avere una donna al timone significa confrontarsi quotidianamente con un altro tipo di sensibilità, non solo rispetto a temi prettamente commerciali, come il prodotto o l’accoglienza al cliente, ma anche rispetto alla gestione del personale, aspetto non secondario. Tanto Maristella che Chiara sono riuscite a trovare un equilibrio tra professionalità e famigliarità, qualcosa che tanto i clienti quanto i collaboratori percepiscono e apprezzano.
Da bottega storica come avete fatto in pochi anni a diventare il punto di riferimento più importante per l’orologeria in Italia? E come si passa da azienda famigliare a realtà imprenditoriale strutturata di grande successo?
CF: Beh, in parte è dovuto a ciò che ha detto Alessandro. I fattori sono tanti ovviamente. Il motore di tutto è e resta la passione che si tramanda di generazione in generazione, la voglia di far bene, meglio, di stare al passo con i tempi e di rispondere alle sfide che ogni giorno siamo chiamati ad affrontare. Dal 1940 a oggi il piccolo laboratorio di mio nonno si è trasformato completamente ma il nucleo fondativo, il cuore pulsante, è sempre lo stesso da più di ottant’anni.
Tra presente e futuro, dal 2020, è attiva la vostra vetrina digitale estremamente intuitiva, denominata “Pisa Circle”, dal payoff azzeccatissimo – “Entra nel nostro mondo senza uscire dal tuo” – dove sono disponibili orologi, gioielli e accessori. È un canale che vi sta dando soddisfazione e quanto potrà arrivare a pesare sul vostro giro d’affari in futuro?
AB: È un progetto che avevamo in cantiere da tempo e la cui implementazione ha subito una drastica accelerata durante la pandemia. Pisa Circle ha rappresentato un punto di contatto virtuale accessibile in un periodo in cui i negozi erano chiusi, le vetrine su strada vuote e spente come le nostre città. “Entra nel nostro mondo senza uscire dal tuo”: ripensandoci adesso il payoff si è rivelato fin troppo azzeccato! Pisa Circle ci ha dato e ci sta dando soddisfazioni ma è ancora un work in progress. Difatti stiamo lavorando a un aggiornamento importante che vedrà la luce tra pochi mesi. Ciò detto, crediamo fortemente nei nostri negozi, nel rapporto umano di cui essi sono teatro; la materialità dell’orologio, come di qualsiasi oggetto di alto artigianato, è un elemento imprescindibile nell’esperienza di acquisto. L’online rappresenta un’opportunità, un canale che si aggiunge e non sostituisce quelli tradizionali.
Più di trenta marchi distribuiti, presumiamo non sia semplice gestire tanti interlocutori diversi, ognuno con esigenze e richieste specifiche…
CF: La vasta selezione di brand, la profondità dell’offerta, è sempre stato uno dei nostri segni distintivi. Interfacciarsi con tanti partner non è semplice ma è uno sforzo che viene ripagato dalla consapevolezza di offrire ai nostri clienti un’esperienza immersiva nel nostro settore. Nel corso di questi anni abbiamo optato per un approccio ibrido aprendo boutique monomarca e investendo sul nostro flagship store come spazio di contaminazione in continua evoluzione. È una strategia che ci ha permesso di offrire diverse soluzioni ai brand riuscendo a far combaciare le loro aspettative con le nostre strategie di crescita.
AB: Le maison puntano moltissimo sulla comunicazione: chiedono spazi di visibilità off e online. La competizione è serrata. Riuscire a soddisfare tutti, evitando sovrapposizioni, senza perdere la propria identità di rivenditore indipendente è una vera sfida. Fortunatamente possiamo contare su ottant’anni di storia ed esperienza oltre che su rapporti consolidati con le singole maison che ci consentono di lavorare con serenità.
A testimonianza della dinamicità che contraddistingue le vostre strategie aziendali, dal 2018 al tradizionale core business dell’orologeria si è aggiunto quello del gioiello, sia con la vendita di altri brand e sia con la nascita della collezione Pisa Diamanti. Sappiamo delle performance notevoli. In questo senso puntate a far diventare il vostro marchio omonimo un player globale oppure la vostra attenzione privilegerà sempre l’orologeria?
CF: È un progetto nato da un’idea di mia madre e che ha contagiato anche me. D’altronde aggiungere la gioielleria alla nostra offerta ci sembrava la scelta giusta anche per venire incontro al pubblico femminile. Siamo partite con cautela, facendo i primi passi qualche anno fa, iniziando a esplorare questo mondo affascinante e proporre brand interessanti per storia e valore artigianale, lo stesso approccio che usiamo nell’orologeria. Abbiamo poi deciso di produrre la nostra linea di gioielleria, Pisa Diamanti, una collezione classica ma con un’identità tutta sua. Il tempo ci ha dato ragione: il comparto è cresciuto costantemente e oggi è parte integrante della nostra offerta.
A proposito di orologi. Non avete mai pensato di lanciare una collezione a vostro marchio, come, per esempio, ha fatto Bucherer?
CF: La tentazione c’è sempre e, in passato, abbiamo fatto dei piccoli esperimenti, più per gioco che con la volontà precisa di intraprendere quella strada. Il passaggio da retailer a produttore non è affatto banale: abbiamo sempre preferito concentrarci sul nostro core business consapevoli che gli spazi di crescita e miglioramento sono ancora molto grandi.
AB: Le edizioni limitate Pisa, prodotte in collaborazione con diversi brand nel corso degli anni, sono forse un giusto compromesso che ci ha consentito di placare il nostro istinto creativo assistiti dalla competenza specifica dei nostri partner commerciali.
Quasi 90 milioni di euro di fatturato e più di ottanta dipendenti. Sono numeri che più che a una orologeria fanno pensare a una società quotata in Borsa. Per l’appunto, avete mai pensato alla quotazione?
CF: No, a oggi la quotazione in borsa non rappresenta un’opzione percorribile. Tutti gli obiettivi del nostro piano strategico sono sempre stati raggiunti sopportando costi inferiori a una possibile quotazione. D’altro canto, gli investimenti fatti non hanno richiesto aumento di capitale o ingresso di nuova liquidità. Abbiamo una buona visibilità a livello internazionale e una comunicazione assai trasparente, ben oltre lo standard di settore, per cui anche il valore aggiunto apportato dagli obblighi di trasparenza, derivanti da una quotazione, non sono un elemento che ci ha convinto a compire questo passo. Infine, Pisa è sempre stata un’estensione della mia famiglia: al momento non è nostra intenzione ampliare l’azionariato modificando la compagine sociale tramite l’ingresso nel capitale di investitori istituzionali, domestici e internazionali.
Come si gestisce un’azienda così importante, quanto conta la capacità di delega. com’è composta l’odierna struttura aziendale?
CF: Non c’è una ricetta definitiva, valida per ogni realtà. Certo è che la capacità di delega diventa essenziale quando un’azienda assume dimensioni importanti. Per arrivare a delegare tuttavia occorre riporre fiducia nei propri collaboratori ed è proprio per questo che preferisco far crescere il personale in azienda e affidare loro ruoli di responsabilità una volta maturata l’esperienza necessaria. In questi ultimi mesi abbiamo rivisto il nostro organigramma cercando proprio di valorizzare profili di questo tipo: giovani che ci hanno accompagnato in questi anni e che hanno contribuito alla crescita di tutto il gruppo. Con ognuno di loro mi confronto e consulto quotidianamente.
Dal vostro punto di vista di osservatori sensibili e privilegiati come immaginate l’orologeria del futuro, magari tra vent’anni, sia per i gusti degli appassionati e sia per i trend del mercato?
CF: Questi due anni ci hanno insegnato che è davvero difficile prevedere il futuro. Tutto può cambiare da un momento all’altro. L’orologeria è un settore piuttosto impermeabile alle novità ma ultimamente ho notato un cambio di passo. La digitalizzazione è ormai entrata a far parte del nostro lessico quotidiano, la percentuale di donne interessate all’orologio è in continuo aumento e l’età anagrafica degli appassionati si è ridotta. Questi sono tutti elementi che influiranno sul mercato.
AB: I trend che ha elencato Chiara si percepiscono già a livello di comunicazione. L’investimento pubblicitario, prima fortemente sbilanciato verso la carta stampata, sta riequilibrandosi in favore dell’online, in tutte le sue declinazioni. I canali social, complice la pandemia, sono diventati un presidio essenziale in ottica commerciale. Le campagne e gli eventi dedicati all’universo femminile sono ormai sempre più numerosi. Il cambio generazionale poi ha comportato un cambio di tono nella comunicazione così come nell’offerta dei brand, sempre più attenti a intercettare un pubblico più giovane con prodotti nuovi e con un entry level più accessibile.
By Michele Mengoli