Alla ricerca del Patek perduto
5 Novembre 2024Potremmo iniziare questo articolo che nel titolo, non a caso, cita La Recherche di Marcel Proust in tanti modi. Per esempio sulla punta dell’iceberg che rappresenta Patek Philippe nel mondo dell’orologeria d’alta gamma. Sul suo peso storico fondamentale per la crescita in credibilità e autorevolezza dell’intero settore. Sul fatto che nel 1941, in piena Seconda Guerra Mondiale, s’inventa contro ogni logica un pluri-complicato costosissimo: la Referenza 1518. È una mossa illogica per quei tempi di guerra, ma al tempo stesso è geniale perché il 1518 da quel giorno e per sempre diventa il crono-perpetuo per antonomasia. Verrà prodotto fino al 1954, per 281 esemplari complessivi, tra cui le rarissime versioni in oro rosa e una manciata in acciaio, che oggi risultano il Santo Graal dell’orologeria mondiale. L’orologio – il crono-perpetuo – da spedire in una galassia lontana per far capire agli alieni che il genere umano ha tecnica ma anche tanto cuore. D’altronde i crono-perpetui sono il suo pane, su tutti il 2499 – che ha toccato l’immaginazione anche di John Lennon – e il 3970, a suo modo semplicemente perfetto. Come le ore del mondo, soprattutto in smalto. Come il Nautilus, che esce quattro anni dopo il Royal Oak ma che è il doppio più iconico. Perché? Semplice, perché Patek è Patek.
Ecco quindi come inizia questo articolo: Patek è Patek. E lo è perché è tutto quello che abbiamo detto qui sopra, ma è anche, dal 1932, il Calatrava. L’orologio in purezza. Che se uno non fosse matto come siamo matti noi appassionati di orologi, basterebbe che si comprasse un Calatrava solo tempo, anche d’epoca, anzi, soprattutto d’epoca, e la sua collezione è già bella che finita ed è pure una collezione di gran classe. E poi Patek è Patek anche negli slogan pubblicitari. “Un Patek Philippe non si possiede mai completamente. Semplicemente, si custodisce. E si tramanda”. Questa è indiscutibilmente la pubblicità più riuscita della storia dell’orologeria.
PATEK È PATEK ANCHE CON IL CUBITUS?
È una domanda irriverente, ma che abbiamo l’onestà intellettuale di porci, anche perché segue il fiume in piena del sentimento degli appassionati. Tra social e forum, l’accoglienza per il nuovo arrivato è stata a dir poco turbolenta.
Per restare agli ultimi anni tra i marchi di pari grado, era dall’uscita del Code 11.59 – soprattutto del solo tempo con quadrante bianco – che gli appassionati non si schieravano compatti nello stroncare una nuova collezione altolocata (quella del Code 11.59 in particolare con l’ultra-complicazione di Giulio Papi e la riproposta dello Starwheel ha poi dato qualche soddisfazione ad Audemars Piguet).
Detto ciò, anche noi, come i più, non siamo rimasti positivamente sorpresi dalle foto, ma prima di scrivere qualsiasi cosa abbiamo preferito vederlo con i nostri occhi e toccarlo con mano. Dal vivo ci siamo leggermente ricreduti, di sicuro però avremmo preferito qualcosa di totalmente nuovo.
Ragioniamoci insieme sul Cubitus. D’altronde dalla sua presentazione a Monaco di Baviera se ne sono sentite di tutti i colori. Innanzitutto descriviamolo brevemente, anche perché se state leggendo questo articolo ne saprete già più di noi. In pratica è un Nautilus con cassa quadrata di 45 mm di diametro e angoli stondati in tre differenti versioni. Quella più costosa (89.100 euro) è la Ref. 5822P-001, quindi in platino, con gran data, giorno della settimana e fasi luna istantanei. Sotto al “cofano” c’è il nuovo movimento – tondo! – Cal. 240 PS CI J LU a carica automatica, con sei domande di brevetto depositate. Poi ci sono due solo tempo con data: uno in acciaio e oro rosa e quadrante blu soleil (Ref. 5821/1AR-001 a 61.780 euro) e l’altro in acciaio con quadrante verde oliva soleil (Ref. 5821/1A-001 a 41.580 euro), che presumibilmente dovrà rivestire il ruolo di “hot reference” nelle liste dei concessionari ufficiali del pianeta. Entrambi i solo tempo sono animati dal Cal. 26-330 S C – tondo! – a carica automatica, derivazione del 26-330 introdotto nel 2019 e dotato di stop secondi per la rimessa dell’ora.
A livello estetico, oltre alla trasformazione quadrata ad angoli stondati della cassa, le soluzioni sono quelle consuete che già conoscevamo nel Nautilus, sia per il quadrante – ovviamente tranne che per la gran data – sia per il bracciale che per l’attacco al cinturino nella cassa in platino. Detto ciò, se dal punto di vista estetico i gusti sono soggettivi, a livello meccanico ci tocca esprimere alcuni giudizi severi.
In primis l’ultra-piatto automatico del gran data con uno spessore del movimento di 4,76 mm e della cassa di 9,6 mm è di ottimo livello, ma non lascia certo a bocca aperta (nel senso che la concorrenza oggi fa ben altro). Peggio il discorso per la riserva di carica di 38-48 ore. Quest’ultimo è un dato che andava bene per l’orologeria d’alta gamma degli anni Novanta. Quella odierna, ci permettiamo di dire, meriterebbe qualcosa di più performante: 60-80 ore sono ormai appannaggio di decine e decine di marchi anche non di alta gamma.
L’impermeabilità è un altro tasto dolente, di cui si era già parlato alcuni mesi fa quando venne omologata per tutti i modelli di questa fascia. Va bene la cassa quadrata e la difficoltà d’impermeabilizzazione, ok che nessuno ci fa le immersioni ma 30 metri è un dato decisamente un po’ basso per un modello che rientra nella categoria degli sportivi-eleganti di lusso.
Soprattutto, da un Patek come il Cubitus, del tutto nuovo come collezione – in effetti il tempo vola e questa è la prima nuova collezione di Patek dell’ultimo quarto di secolo (risaliamo al 1999 con il Twenty-4 da donna e a due anni prima con l’Aquanaut) – ci si poteva aspettare un nuovo movimento quadrato sviluppato ad hoc. Invece niente di tutto questo. Non realizzarlo di forma, adattandoci un normale movimento tondo, con quell’oblò sul fondello, è una caduta di stile. Perché? Una operazione simile ce l’aspettiamo da un marchio qualsiasi, non certo da Patek.
In ultimo c’è il discorso dei listini. Questi tre sono alti, molto alti in relazione ai contenuti proposti. Qualcuno in effetti potrà dire: Patek è Patek anche nel prezzo. È vero, anche se tempo fa il presidente Thierry Stern aveva dichiarato alla stampa americana che stava pensando a un “entry-level” da 20mila dollari circa per avere i trentenni come clienti. Evidentemente non è questo il modello al quale pensava oppure nel frattempo i trentenni hanno raddoppiato i guadagni.
L’OPINIONE DEL RESTO DEL MONDO E LA NOSTRA
La stampa internazionale è stata piuttosto diplomatica, ma non sono mancate le critiche, anche rilevanti. Invece, come abbiamo detto, gli appassionati su social e forum ci sono andati giù pesante. Il Cubitus in questo senso è stato bocciato su tutta la linea. E forse è una bocciatura che il presidente Stern prenderà come un buon auspicio, visto che ai tempi dell’uscita dell’Aquanaut molti addetti ai lavori lo inquadrarono come il modello che avrebbe fatto chiudere Patek. Ovviamente così non è stato.
Quello che è certo, però, è che l’attuale mondo dell’orologeria d’alta e altissima gamma, soprattutto grazie a un certo mondo di manifatture indipendenti, ben più di quelle appartenenti ai grandi gruppi (tranne rare eccezioni, con sempre meno identità e sempre più attenzione ai dati finanziari) ha raggiunto un livello tecnico e di finiture da strabuzzare gli occhi e purtroppo in questo senso, dispiace davvero dirlo, Patek con il Cubitus poteva osare molto di più.
Quello che è altrettanto certo è che le critiche non sono andate giù al presidente Stern, che pubblicamente ha affermato: “The haters are mostly people who have never had a Patek and never will. So that doesn’t bother me”; che tradotto significa: “Gli haters sono per lo più persone che non hanno mai avuto un Patek e non lo avranno mai. Quindi questo non mi disturba”.
In conclusione, sono proprio quest’ultime dichiarazioni che rappresentano l’aspetto più controverso della questione e che probabilmente infastidiscono di più. Il Cubitus può piacere o no e potrà o non potrà essere un successo, questo lo stabilirà come sempre il tempo, in ogni caso da un marchio come Patek avremmo preferito affermazioni differenti dal suo vertice. Ossia più in linea con la sua storia e il suo stile.