Mo Coppoletta: il designer italiano che prima ha conquistato Londra e poi il mondo dell’orologeria 
20 Luglio 2022Succede così. Che uno diventa protagonista del suo settore. E con un po’ di fortuna diventa anche famoso per quello che fa. È raro ma non rarissimo e difatti in Italia si dice “uno su mille ce la fa”. È quello che è successo a Mo Coppoletta, nato a Verona nel 1971, che dal 1997 si divide tra Londra e l’adorata Bardolino, sponda veronese dell’altrettanto adorato Lago di Garda. Difatti la sua passione per il tatuaggio, insieme al talento e alla perseveranza, lo hanno reso celebre nel mondo, con il suo studio londinese “The Family Business Tattoo”, a Exmouth Market, che dal 2003 è un punto di riferimento assoluto per gli appassionati internazionali. Poi ad alcuni succede qualcosa di ancora più raro. Talento, intuito, forza di volontà, creatività e chissà cos’altro li fanno diventare dei numeri uno anche nei settori che non sono propriamente i loro. Ed è quello che è successo sempre a lui, Mo Coppoletta, che da tatuatore è diventato un punto di riferimento di creatività – con la Coppoletta Designs – anche per molti altri settori: dall’automotive (Rolls-Royce) alla moda (Turnbull & Asser), dall’accessorio (gli occhiali con Maison Bonnet e Montblanc con il progetto “Secret Adornment” e le cover per Samsung) alla drink industry (Harry’s Bar, Gin 58, Olivia Gin, Italicus Rosolio e Negroni per The Rake), eccetera, fino alla nostra amata orologeria, con collaborazioni d’altissimo livello: su tutte quella con Bulgari e Laurent Picciotto di Chronopassion Paris per il meraviglioso Octo Finissimo Tattoo Aria.
Come si diventa Mo Coppoletta?
È la somma della mia vita e della sensibilità famigliare: mio padre era un appassionato antiquario e mia mamma con altrettanta passione faceva la sarta. La sensibilità per le cose belle e per certe linee estetiche me la sono portata dietro dall’infanzia. Inoltre il mio gusto è stato molto influenzato dall’essere italiano.
Perché da Verona a Londra?
Londra, per la professione del tatuatore, nel 1997 aveva prospettive ben più importanti di quelle italiane. Era una tappa forzata perché lì si viveva il tatuaggio in un’altra dimensione, molto più internazionale. E come si dice in questi casi: Londra era il mio destino.
E come vedi l’Italia?
L’Italia è la mia patria. È il Paese che adoro ed è anche il più affascinante del mondo. Ma oggi in Italia si è perso il gusto del bello. Ci salva soltanto il fatto che il nostro Paese continua a essere un posto meraviglioso. Dai paesaggi al patrimonio storico unico al mondo fino alle straordinarie località turistiche. Per il resto, gli italiani – intendo la gente comune – non sentono più il bisogno del bello e, tranne rare eccezioni, del fatto bene. Con una pregiudiziale grave. Ci sono Paesi che non hanno storia. Invece noi le tradizioni le abbiamo e le abbiamo abbandonate. Detto ciò, quando posso, soprattutto d’estate, trascorro più tempo possibile in Italia. Io sono di Verona. I miei genitori stanno in campagna e io adoro Bardolino. Il Lago di Garda è tutto meraviglioso: la parte bresciana è romanticissima e anche quella in cima, in Trentino, è favolosa. Guardi il lago, i cipressi e gli ulivi e l’ispirazione arriva immediatamente.
Quindi possiamo scordarci di avere ancora uomini alla Marcello Mastroianni che danno l’esempio e il lustro dell’italianità nel mondo?
Be’ di Mastroianni non ce ne sono più, però ci sono tantissimi italiani in giro per il mondo che rappresentano l’eccellenza in molti settori. L’unica speranza che ha l’Italia di ripartire come Paese è quella di riportare a casa i grandi italiani che sono all’estero. Per fare ciò serve una politica diversa, incentivante. E una classe dirigente al passo con i tempi. Una burocrazia più snella. E bisogna spingere sulla tecnologia, sburocratizzandola. A Londra, tanto per fare un esempio, con il telefonino riesci a comprare una casa. In Italia è già molto se riesci a mandare una mail alla pubblica amministrazione. Le eccellenze italiane devono tornare in Italia. Ma l’Italia deve poi saperle accogliere per sfruttarle al meglio, perché va ribadita una cosa: gli italiani, certi italiani, sono sempre i migliori al mondo.
Come nasce la tua passione per il tatuaggio?
Nei primi anni Novanta, direi per caso, per indole o destino. Allo stesso modo amavo e amo ancora la musica, i motori (soprattutto gli scooter italiani, la Lambretta su tutti, e negli ultimi anni le auto d’epoca), gli Stati Uniti d’America, l’arte grafica e gli orologi. All’epoca, nei primi anni Novanta, eravamo in pieno Risorgimento tatuaggistico e io ho cavalcato l’onda, godendomi quel momento straordinario. Siccome sono uno che quando si innamora di qualcosa ci si immerge completamente, a Londra mi sono dedicato anima e corpo al tatuaggio.
Veniamo agli orologi. Quando nasce la passione e come sei arrivato alle collaborazioni con i marchi di orologeria?
Da giovane, come d’altronde quasi tutti gli italiani all’epoca. Mi sono dedicato ad altro fino a una quindicina di anni fa, quando la passione è riesplosa in maniera prepotente e in pochi anni ho recuperato il tempo perduto frequentando assiduamente la Svizzera e il mondo dell’orologeria. Concettualmente non rispetto quelli che acquistano un orologio in base al nome sul quadrante o al trend del momento. Valuto la bellezza del pezzo. Valuto la storia della maison. Valuto il fascino di un orologio. Quindi, in generale, li compro perché mi piacciono e non penso alla loro rarità, come magari capita nel vintage, segmento che non mi affascina particolarmente. Così sono diventato acquirente degli orologi che più attiravano la mia attenzione. Eccone alcuni: Lange & Söhne Grand Lange 1 in platino; Jaeger-LeCoultre Duometre Chronographe; Journe Chronometre à Resonance; poi il DB25L Starry Sky e il DB28 di De Bethune, marchio che negli ultimi venticinque anni ha simboleggiato al meglio il giusto rapporto tra classicità e innovazione; Audemars Piguet Royal Oak Perpetual Calendar Skeleton, Vacheron Constantin 1921, Patek Philippe 5070 e alcuni pezzi unici di Cartier. Poi, con un po’ di fortuna, ho iniziato a fare consulenze per diversi brand; alcune sono uscite e tante altre usciranno in futuro. L’orologeria è stata una bella compagna di vita degli ultimi quindici anni. La prima collaborazione è stata con Romain Jerome per il modello “A Sailor’s grave”.
Ovviamente sono molto orgoglioso dell’Octo Finissimo Tattoo Aria e la collaborazione con Bulgari e Laurent Picciotto potrebbe riservare ancora inaspettate sorprese. Poi due Limited Edition Mo Coppoletta, ciascuna di 26 esemplari, con S.U.F Helsinki di Sarpaneva;
ho realizzato dei cinturini per Panerai; ho disegnato un Philippe Dufour di gioielleria che probabilmente uscirà nel prossimo futuro; con Luca Soprana abbiamo una serie di progetti di consulenza per diversi marchi di orologeria di diverso target, compresi un super-complicato davvero incredibile e un ore saltanti semplicemente delizioso.
Quindi “da grande” punti a diversificare il tuo business?
Ormai le collaborazioni con la drink industry, l’orologeria e gli interni sono i capisaldi del mio lavoro. Faccio tanta “brand identity” e “rebranding”, tra automotive e moda. Senza dimenticare ovviamente la mia origine di tatuatore. Ma devo dirti che se ne avrò l’opportunità, ho ancora tanto da dare nel mondo del design: penso, per esempio, a certe merceologie nel mondo della casa. Credo molto nello studio. Nell’applicazione. Le scorciatoie non mi appartengono. Il minimalismo va tanto di moda perché è il modo perfetto per nascondere le lacune. Ecco quindi che credo che con onestà intellettuale ci si può dare al minimalismo solo dopo aver dato tanto nel massimalismo, dove si vede se uno ha studiato e ha talento. Come dire: due segni soltanto non sono abbastanza, con due spruzzi su una tela penso che mi stai imbrogliando! Un altro mio grande amore è l’arte grafica e decorativa, dal Vittorianesimo fino all’arte pubblicitaria tra gli anni Quaranta e Sessanta. Il mio apprezzamento nelle opere – d’arte e negli oggetti, fino agli orologi – deve riflettere una grande dose di tecnica, di qualità e talento, che insieme all’idea creativa e alla sensibilità, rappresentano il mix perfetto. E in questo senso spero che anche il mio operato contenga sempre gli stessi ingredienti.
Mo, in questi anni trascorsi nel mondo dell’orologeria quali sono state le persone che più ti hanno affascinato e fatto innamorare degli orologi? C’è qualcuno, in particolare, che ti ha davvero colpito?
Molte persone hanno talento vero, altre meno, come in tutti i campi. Penso che il team che più mi ha affascinato sia stato quello composto da Denis Flageollet e David Zanetta, insomma, la prima fase di De Bethune; perché raramente non sono rimasto affascinato da una loro creazione. A mio avviso hanno raggiunto uno dei punti più alti dell’orologeria moderna. Poi dico Claude Sfeir, una persona unica, che mi ha dimostrato la vera passione per gli orologi e il cui entusiasmo è semplicemente strabiliante. E il fato vuole che lo abbia conosciuto a una cena di De Bethune.
Cosa cerchi in un orologio e quanto conta per te la parte tecnica?
Cuore o aspetto? Entrambi, basta che il dosaggio sia equilibrato e coordinato. Per esempio, alcuni orologi non si apprezzano per il loro valore tecnico, ma di certo ne devono avere una dose adeguata. Intendo sia di tecnica ma anche di finitura. Altri sono apprezzabili tecnicamente ma non possiedono abbastanza estetica. Diciamo quindi che ogni orologio dovrebbe essere apprezzato nel suo contesto di giusto bilanciamento tra tecnica ed estetica in base a ciò che quell’orologio vuole significare. Di sicuro, la pura tecnica non supportata dal resto mi lascia abbastanza freddo, come un freddo virtuosismo di chitarra. E comunque tra le due – come in altri ambiti – l’estetica seduce di più.
Nella tua collezione compaiono tanti orologi moderni e marchi indipendenti, ma qual è la tua opinione sul vintage? È un settore che ti affascina? Hai mai pensato di comprarne uno?
Non sono mai stato affascinato dal vintage mainstream degli ultimi vent’anni, ossia Rolex e certi Patek. Ora il vento è cambiato, mi sono sempre piaciuti gli orologi anni Trenta e Quaranta dalle casse sinuose e complesse, inimmaginabili oggi. Come certi vecchi Vacheron, Audemars e i Patek di quell’epoca. Anche alcuni Omega. Soprattutto, il vintage è un universo che richiede studio e conoscenza vera, non reputo di averne abbastanza per poter dare un giudizio completo.
Dopo la collaborazione con Dufour possiamo dire che sei arrivato al nome più venerato. Hai mai pensato di disegnare un orologio da zero o, ancora meglio, a una collaborazione per un prodotto completamente “Made in Italy”?
Non so se avete delle spie… ma come si dice: “Stay tuned”.
Da designer, cosa manca seconde te nel mondo dell’orologeria?
Dipende. Nelle grandi marche manca quasi tutto! Difatti per quanto ancora potranno basarsi sui modelli storici!?! A loro mancano la volontà e il coraggio perché il marketing e la “corporative way” hanno soffocato qualsiasi istinto creativo. Invece nell’orologeria indipendente si respira di più, anzi, meno male che finalmente è apprezzata anche a livello commerciale perché senza gli indipendenti non ci sarebbe nulla o poco di salvabile oggi. Perché, come ho detto prima, il connubio della tecnica in funzione dell’estetica e viceversa è la regola che rispetto di più.
Concludiamo con un desiderio o una utopia. Sai già quale sarà il tuo prossimo orologio? Ed esiste per te un “Exit watch”?
La mia “wish list” non cambia da dieci anni! Questo la dice lunga sullo stato di salute creativo dell’industria! Il mio exit watch sarà il prossimo! Al quale seguirà un altro exit watch! E via dicendo!
By Michele Mengoli