Ieri, oggi e domani: tutto sul maestro orologiaio Luca Soprana, l’italiano che in Giappone è diventato un manga!
9 Maggio 2022Da orologiaio nel vicentino alle esperienze con Vianney Halter, Patek Philippe e Rolex, al proprio atelier a Vaumarcus – nel cantone di Neuchâtel –, le partnership con i grandi nomi e addirittura il manga su di lui fatto da Chronos Japan. La storia da film di Luca Soprana – 47enne di Valdagno, studi di economia e commercio a Bologna, 3 lingue parlate con un filo di gas (per la cronaca: italiano, francese, inglese) – ci piace non solo perché racconta il meritato successo di uno dei grandi orologiai contemporanei, ma soprattutto perché celebra i tratti distintivi del suo carattere: l’ironia, l’autoironia, l’empatia e il giusto valore da dare al rapporto umano. Una vera rarità per il settore dell’orologeria internazionale.
Luca, chi stimi di più nell’orologeria mondiale?
Derek Pratt, scomparso nel 2009, è stato un gigante assoluto e purtroppo è sconosciuto ai più. Tra i viventi, di sicuro, un mito è Andreas Strehler. È un sacrilegio che non sia venerato da tutti ed è un disastro per il settore e per gli appassionati che, temo, non lo considereranno mai abbastanza una leggenda. Un altro gigante è Stephen McDonnell, che, tanto per capirci, ha fatto il calendario perpetuo di MB&F. Come dicono i francesi, ci vuole il “phisique du rôle”, che indubbiamente ha François-Paul Journe, una referenza mondiale di genialità, anche nell’essere personaggio, con l’aggiunta di una intelligenza industriale che gli altri non hanno, e il fiuto per gli affari degno del grande Breguet. D’altronde oggi l’orologeria è legata al 200% alla faccia e all’immagine dell’orologiaio e non alle capacità tecniche, ne alla coerenza orologiaia. Si spiega solo così che uno dei più grandi talenti dell’orologeria come Andreas Strehler non venga celebrato adeguatamente con le sue creazioni.
Puntare sulla propria immagine è ego o necessità?
Entrambe le cose. Dopo essere stato per anni un uomo nell’ombra, ho raggiunto la visibilità con Jacob & Co. che aveva bisogno di creare credibilità sulla sua produzione. È in quel momento che mi sono reso conto del salto di visibilità rappresentato dall’immagine. E mi riferisco a ogni situazione. Da atelier indipendente con prodotti sperimentali e approccio scanzonato, quando vai a parlare con i CEO o i proprietari dei marchi strutturati se non hai un po’ di carisma e se non sei un animale da palcoscenico, capace di sedurre, non vai da nessuna parte. Si esce dal tecnico e diventa una faccenda di relazioni umane.
Da dove arriva la tua passione per le lancette?
In famiglia siamo alla quarta generazione di orologiai ma è tutta colpa di mio nonno Roberto! È lui che mi ha insegnato le basi ed è con lui che ho passato tutti i sabati della mia infanzia in laboratorio e ancora con lui, durante le vacanze estive, riparavo gli orologi. In pratica, quella di mio nonno, che aveva un carattere molto forte, era una “tortura” psicologica: se da bambino andavo a lavorare da lui, mi dava uno “stipendio” di mille lire all’ora, per comprare caramelle e Lego in grande quantità!
Quindi sei un predestinato?
Probabilmente sì. Quattro generazioni di orologiai ma la mia famiglia non voleva che lo facessi. Dicevano: vai bene a scuola, fai l’università, non devi finire dietro il bancone di un negozio o a fare l’orologiaio, che è un lavoraccio. Laureati e fatti una vita! Quindi, in definitiva, sono la pecora nera della famiglia (ride). No, scherzo, presa la decisione di fare l’orologiaio, in famiglia erano tutti contenti… il dramma é stata la decisione di abbandonare la famiglia e venire in Svizzera. Questa è stata la decisione più “guerriera”. Il mio povero nonno non mi ha quasi più parlato per due anni e mio padre ha vissuto questo distacco con molta tristezza. Solo la mia determinazione e le battaglie che ho portato a termine hanno compensato la durezza del distacco.
Da orologiaio a Vicenza a uomo del GPHG, come è successo?
È una storia lunga. Dopo i miei anni di vita spensierata a Bologna, torno a Vicenza e mi metto a lavorare con mio nonno, che era entusiasta della mia decisione. In Veneto ci sono pochissimi riparatori in grado di mettere le mani su calibri d’epoca, pendole, eccetera, perciò abbiamo fin da subito molto lavoro e tutta la regione come bacino. Però poco dopo mi rendo conto che quello che so non è più sufficiente e riesco a frequentare il Wostep, che è la scuola di formazione orologiera (per stranieri) più importante della Svizzera. Quando sono lì il mio professore, Stephen McDonnell, fenomenale allievo di Kari Voutilainen, mi suggerisce di mandare il cv perché cercavano un insegnante. Mi prendono. È il 2002 e sono il primo insegnante italiano al Wostep.
È un trionfo!
Ma figurati. Considera che per almeno i primi quattro anni il mio stare in Svizzera ha sempre avuto una dimensione molto provvisoria. Mi spiego. Al Wostep, qualche tempo dopo, il direttore diventa Marteen Pieters con il quale non vado d’accordo e mi ritrovo in Svizzera senza una lira e assolutamente senza la minima voglia di tornare a casa con la coda tra le gambe. Cerco lavoro e lo trovo da Vulcain come responsabile del servizio post-vendita. Lì imparo cosa vuol dire l’industrializzazione e con loro comincio a lavorare con Claret al tourbillon con svegliarino. Questo per un paio di anni. Nel frattempo imparo a usare Inventor, il programma per la progettazione tridimensionale. A quel punto Vianney Halter cerca un orologiaio e vengo assunto da lui e scopro il significato di fare un orologio dalla a alla z e diventa una passione. Faccio funzionare la Trio – ore e minuti, secondi e gran data in quattro sottoquadranti differenti – e nel 2007, con il Classic Janvier N°1 (equazione del tempo e fasi luna in forse 12 esemplari in platino) mi occupo di tutto. Poi passo in BNB Concept per gestire l’atelier della prototipia. Ho carta bianca su tutto e posso esprimere sia il mio lato creativo che micromeccanico, e va tutto alla grande…
Adesso sì che è un trionfo!
Ma lascia perdere (ride): poco dopo BNB fallisce! Mi prendo un paio di mesi di pausa fino a quando non mi assume Patek Philippe che stava cercando un formatore per la formazione interna. Ma in Patek non sto bene. Io faccio casino, cerco il confronto dialettico. Non sono d’accordo su alcune scelte tecniche, vado a parlarne ai piani altissimi e la settimana successiva sono trionfalmente di nuovo senza lavoro. È la fine del 2010 e siccome la vita è bella mi contatta immediatamente Rolex per il restauro. Mi convincono subito ma altrettanto immediatamente mi rendo conto che non fa per me. Duro tre mesi e me ne vado. Mia moglie – avevamo già un figlio, poi ne avremo altri due – mi guarda e dice: sei veramente un disastro. Cado in depressione. Vado dallo psicologo per capire come uscirne. E dopo qualche seduta lo psicologo è netto nel dire che il problema non sono io, semplicemente non sono fatto per lavorare in azienda, soprattutto in quelle svizzere perché bisogna eseguire gli ordini in silenzio come sotto l’esercito. Poi se hai l’approccio veneto – ossia, lavoro per l’azienda come fosse la mia – è ancora peggio perché pensano che sei un pericolo!
La tua storia merita come minimo una docuserie su Netflix…
Per carità… anzi perché no, magari qualche soldino si potrebbe fare (ride). Dopo aver toccato il fondo mi rialzo. Faccio un corso e perfeziono l’uso di Inventor e propongo a Vianney Halter di lavorare su un progetto condiviso, che vince il premio innovazione al Grand Prix d’Horlogerie de Genève 2013. In parallelo vado avanti per la mia strada e fondo Ateliers 7h38 (che è l’ora di nascita del primo figlio avuto dai soci fondatori) un vero e proprio atelier di sviluppo. Subito vendiamo a Jacob & Co. lo Split-Flap World Time. Lo realizziamo e ci mettiamo a ragionare sull’Astronomia che arriva, sempre per Jacob & Co., nel 2014. Il resto è storia.
Con l’Astronomia possiamo dire Trionfo?
Sì, possiamo dirlo! Soprattutto cominciano le luci della ribalta. Fin dalla presentazione del prototipo a Basilea è stato così, sia per i clienti che per i giornalisti. Il binomio con Jacob & Co. ha poi prodotto ogni due anni una evoluzione del calibro: nel 2016 facciamo l’Astronomia Sky e nel 2018 l’Astronomia ripetizione minuti Maestro. Soprattutto, grazie all’accordo con Jacob, è arrivata la visibilità internazionale per Ateliers 7h38 e per il sottoscritto. A quel punto ci siamo strutturati e sono arrivate le collaborazioni con i grossi nomi che non si possono citare, altrimenti mi uccidono.
Parlaci del Derek Pratt…
Stewart Lesemann, uno degli orologiai che lavorava con me, nel 2014 aveva fatto il primo sviluppo del prototipo del Derek Pratt. Io adoravo Derek Pratt, è stato un gigante. Ne parlo con Stewart e decidiamo di riprendere in mano il progetto con l’approvazione di Jenny Haller, la moglie di Pratt. Ho ridisegnato completamente il calibro valorizzando la “firma” di Derek, rappresentata dal “remontoir d’egalitè” e dai due bariletti volanti. Nel 2022 ci sarà il lancio un’edizione speciale davvero riuscita, ma per ora non posso svelare ulteriori dettagli.
E la collaborazione con Massena Lab?
William Massena, a inizio 2021, mi propone di fare un orologio nel mio stile: classico rivisitato. Nasce l’Old School in 11 esemplari con l’idea di William di mettere il mio nome sul calibro. Con William – una persona squisita – molto probabilmente ci saranno altre collaborazioni in futuro. D’altronde questa è la mia filosofia di vita, prima ancora di quella orologiera: per me i rapporti umani reali sono più importanti del marketing e del diventare una celebrità. Soprattutto, ho un mio codice etico. Per esempio, non mi piace l’idea che stanno utilizzano certi indipendenti per fare un prodotto economico: prendere un movimento Sellita o Soprod o addirittura Miyota attaccandoci sopra soltanto il loro nome è troppo facile. Per creare un prodotto più accessibile capisco l’utilizzo di calibri esistenti ma devono essere swiss made o europei mentre il prodotto finale deve avere un originalità legata anche alla partnership. Ecco vorrei nel futuro fare qualcosa di figo, originale e abbordabile, perché no. L’orologeria è anche un mondo di uomini. Voglio essere libero di fare quello che mi piace. Non voglio essere schiavo del mio marchio, o del mio azionista di riferimento!
Concludiamo con una domanda sull’andamento del settore. Come lo vedi il boom attuale sui soliti nomi e diversi indipendenti?
Lo vedo male. Questo trend pazzesco della valutazione eccessiva di certi orologi causerà un cataclisma a breve-medio termine perché la bolla odierna non rispecchia nella maniera più assoluta i valori reali. Un meraviglioso e rarissimo Derek Pratt da tasca va a 150mila euro e un FP Journe ore, minuti e secondi in tantalio di serie e in produzione viene venduto a molto di più. Questo non ha senso, senza nulla togliere alla genialità di Journe. Oggi è talmente tutto irreale che i veri valori dell’orologeria – la qualità del prodotto e gli orologiai veri – non vogliono dire più niente. Per orologiai veri intendo quelli che costruiscono dalla a alla z e non gli assemblatori che esternalizzano tutto: le finiture le fa uno, le ruote un altro, eccetera. Detto ciò, la prima contrazione sarà sugli indipendenti perché stanno lavorando troppo. Per un indipendente vero già fare 30 orologi all’anno è uno sproposito. Se ne fai 100 o 600 all’anno è industria. Ricordatevi che Philippe Dufour per fare 100 orologi ci ha messo vent’anni!
By Michele Mengoli