Be a watchmaker born in the 20th century: Talking with Felix Baumgartner co-founder of Urwerk
6 Dicembre 2018Oggi abbiamo avuto il privilegio di parlare con Felix Baumgartner, maestro orologiaio e co-fondatore del marchio indipendente d’avanguardia Urwerk, lanciato nel 1997 in partnership con il designer Martin Frei.
Felix, può spiegarci la sua ricerca continua di nuovi modi per segnare il tempo?
Mio padre è orologiaio e anche mio nonno lo era. Sono cresciuto circondato da bellissime antiche pendole del XVIII° secolo che mio padre restaurava pazientemente. Ho imparato il linguaggio segreto dei ripetizione minuti, tourbillon e calendari perpetui al banco di lavorodi mio padre. Quando mi sono diplomato alla scuola di orologeria, avevo due opzioni: guardare al passato e cercare di preservarlo come faceva mio padre, o provare a capire cosa significasse essere un orologiaio nato nel XX° secolo. Come potete immaginare, ho scelto la seconda opzione. Credo profondamente che la storia dell’orologeria sia un processo in continua evoluzione e voglio fare parte di questa trasformazione. Creando in sintonia con il presente.
Come affrontate il processo creativo insieme a Martin? E’ lui a proporre un design nuovo e poi Lei studia come “farlo muovere”, o vice versa?
Siamo un duo, quindi funziona in entrambe le direzioni. A volte Martin presenta un concetto e poi dobbiamo tradurlo in un sistema meccanico che sia funzionante. Come nel caso della corona inedita che abbiamo creato per il modello UR-111C. Altre volte la spinta viene da me, come per il UR-210 e la sua lancetta dei minuti “flyback”. E’ un dialogo tra noi due, siamo virtualmente una coppia. Proviamo a impressionarci l’un l’altro, e URWERK è il risultato di questi nostri scambi.
Sappiamo che i fratelli Campani, orologiai italiani, hanno inspirato le sue prime creazioni “satellite”. Come Le è venuta l’idea di utilizzare e modernizzare il loro modo inusuale di segnare il tempo?
Mio padre mi ha raccontato che, quando avevo 6 anni, ha avuto l’opportunità di restaurare una pendola “notturna” dei fratelli Campani che in origine era stata fabbricata per il Papa. Dice che sono restato letteralmente affascinato da questo orologio e trascorrevo delle ore a osservarlo. Evidentemente mio padre completò il lavoro e riconsegnò questa meraviglia al suo proprietario. 20 anni dopo a una festa di capodanno ho incontrato Martin Frei. E lì abbiamo passato praticamente l’intera nottata a parlare di percezione del tempo, filosofia e arte. In seguito gli ho mandato una foto della pendola dei fratelli Campani, un orologio che adoro ancora adesso. Gli è piaciuta moltissimo. E abbiamo iniziato a fantasticare allo scopo di creare un nostro modo per segnare il tempo.
E poi avete trovato un modo lineare per farlo, con il CC1 Cobra…
E’ stato un processo abbastanza lungo. Abbiamo elaborato questo concetto, questo modo lineare di indicare il tempo, nel 2000. Mio fratello maggiore aveva una Volvo. Il tachimetro aveva questa forma lineare, come sulle vecchie macchine americane. Il nostro scopo era di tradurre questo stesso concetto in una maniera di segnare il tempo. Qualcosa di dirompente, ma al contempo chiaro.
Può raccontarci qualcosa in più sui progetti EMC e AMC?
Tra le molte cose che mi affascinano, una è la cronometria. Come tutti gli orologiai, ho un Witschi sul mio banco di lavoro: uno strumento per misurare la precisione del mio lavoro. Questo giudice imparziale non fa compromessi, ‘ascolta’ il ritmo del bilanciere e emette un verdetto sulla performance dei movimenti, basato sulla misurazione della cadenza del tempo, il numero di secondi guadagnati o persi dal movimento nel giro di 24 ore. Questo strumento è un mio costante punto di riferimento; potreste dire che è il mio unico capo nell’atelier.
Con i progetti EMC, l’idea era di integrare uno strumento di misurazione simile al Witschi all’interno di un orologio meccanico, per poter ottenere dei dati affidabili sul proprio segnatempo premendo soltanto un pulsante, informazioni finora riservate agli orologiai di professione. Nel caso dell’AMC, il progetto è ancora più ambizioso. L’idea è di avere un“master clock”, un riferimento atomico del tempo, che controlli meccanicamente la precisione e la cadenza di un orologio da polso ‘schiavo’. Sono 8 anni che lavoriamo a questo concetto, e dovremmo essere pronti a svelarlo a dicembre 2018.
E quest’anno avete presentato un altro orologio che segna il tempo in maniera lineare, il modello UR-111C?
Esatto. Si sente il legame familiare tra il UR-CC1 e il UR-111C quando si mettono le casse a confronto. Sul UR-111C, i minuti si leggono in due modi diversi: lineare per il piacere degli occhi e digitale per la precisione. Un rullo sulla cassa svolge il ruolo della corona, la corsa continua dei secondi si snoda in un fascio di fibra ottica. Queste sono tutte “prime mondiali”, cosa molto eccitante per noi.
Continuerete a “Urwerkizzare” altri marchi, come avete fatto con il progetto Macallan?
Questo “esercizio” ci è piaciuto tantissimo. Macallan ci ha approcciati per disegnare la fiaschetta più complessa a essere mai stata creata. Una sfida davvero eccitante. Abbiamo pensato a un nuovo “brand concept”: una fiaschetta con due serbatoi separati. E’ stato divertente! Non sono sicuro che sia stato piacevole da produrre, però noi da URWERK ci siamo stradivertiti a disegnarla…
Cosa sono i vostri piani per il futuro? Creerete mai un’altro orologio rotondo?
Stiamo finalizzando alcuni nuovi progetti molto interessanti… Rimanete sintonizzati…
By Jacopo Corvo