Alessandro Squarzi “Non è l'orologio che fa la persona, è la persona che fa l’orologio!”
23 Novembre 2021Alessandro Squarzi e la sua visione senza peli sulla lingua dell’orologeria: “Ragazzi, mi raccomando, non commette l’errore di pensare di essere fighi perché avete un determinato orologio al polso. Non è l’orologio che fa la persona, è la persona che fa l’orologio!”
Alessandro Squarzi – sorriso romagnolo e head-quarter operativo milanese – piace a noi di Watch Insanity per almeno tre motivi, con l’aggiunta di un quarto speciale per il sottoscritto. Primo: è uno dei pochissimi influencer – con 262mila follower su Instagram, dove è l’icona maschile delle icone dello street style – con un percorso offline di grandissimo spessore che lo ha portato da giovane commesso di un negozio di abbigliamento a diventare socio fondatore del celebre marchio Dondup fino alla attuale direzione creativa di Fortela e di Fay Archive, con partnership sempre al top come la capsule che porta il suo nome di occhiali da collezione della star losangelina Jacques Marie Mage. Secondo: è fin da ragazzo appassionato di orologi e collezionista trasversale con il solo filo conduttore del gusto personale. Terzo: dice quello che pensa. Quarto: è mio vicino di casa sul lungomare di Rimini nord.
Alessandro, iniziamo dal libro “Time to Wear”, che di recente hai pubblicato insieme al leggendario Auro Montanari, alias John Goldberger. Come nasce il libro?
“Auro, come sanno tutti, su fotografia, orologi e relativi libri è un maestro. Siamo molto amici e una sera a cena lui ha tirato fuori l’idea del libro. Ci abbiamo ragionato e abbiamo deciso di sposare i miei abiti vintage con i luoghi che amo, tra Milano, Rimini, Forlì e St. Tropez, concentrandoci su una selezione della mia collezione che chiamo dei ‘brutti anatroccoli’, che non sono i pezzi più blasonati ma quelli che quando erano in commercio nessuno considerava e che poi, invece, negli anni, sono diventati orologi importanti.”
Brutto anatroccolo, inteso come essere fuori dal coro, non è un tuo cavallo di battaglia ricorrente?
“Assolutamente sì. Nell’orologeria sono l’inventore della definizione dei brutti anatroccoli. Sai, sui social molti di quelli che mi seguono sono ragazzi giovani e mi piace trasmettere loro dei principi di buon senso, sia per la moda che per l’orologeria. Nella moda, per esempio, mi chiedono spesso il nome di un mocassino da spendere poco. La risposta è una sola: non compratelo un mocassino da spendere poco perché dura poco. Compratelo di qualità perché è più bello e dura di più. E alla fine è anche una formula ecosostenibile perché non si spreca. In pochi sanno che nell’abbigliamento c’è un abuso assurdo: il 35% della produzione va al macero ancora imbustata! Per l’orologeria, invece, spingo sull’idea che non importa avere un Patek Philippe o un Rolex al polso per essere fighi. Credo sia altamente educativo trasmettere il concetto che l’orologio non deve essere uno status. Lo devi prendere soltanto se ti piace, senza condizionamenti. Ragazzi, mi raccomando, non commette l’errore di pensare di essere fighi perché avete un determinato orologio al polso!”
In questo senso, lo scorso settembre hai postato la foto con al polso un crono Ref. 5170 in oro bianco con quadrante nero con la seguente frase: “Purtroppo oggi i Patek sportivi li vedi al polso di persone che sino a ieri non ne conoscevano l’esistenza quindi io torno ad indossare i veri Patek”. Puoi approfondire il pensiero?
“Michele, quando una roba diventa fortemente di moda è l’inizio della sua fine. Gli vai a togliere quel valore intrinseco che l’oggetto possiede. Mi spiego: oggi la gente non compra più il Nautilus perché è l’orologio che ha rotto i canoni del suo tempo o perché è la massima espressione stilistica del genio di Gerald Genta. Lo compra per status. Fino a qualche anno fa non lo conosceva nessuno e tutti gli preferivano di gran lunga un Rolex. E sai perché? Perché all’epoca, per la maggioranza, lo status era rappresentato da Rolex.”
Quindi, in definitiva, per la maggioranza è sempre una questione di status?
“È così. Adesso che il fenomeno del Nautilus è esploso io ho smesso di indossarlo perché non sopporto di andare dietro alla massa. Per questo motivo porto il Nautilus da donna, perché non lo fa nessun altro uomo, almeno ancora per un po’. D’altronde questo è un fenomeno comune a tanti altri settori. Prendi l’automobile. Fino a qualche tempo fa nessuno sapeva cos’era la Classe G della Mercedes. Adesso la guidano tutti i calciatori. E quando le cose diventano di moda, per me vanno fuori moda.”
È per questo che tu, come Auro Montanari, indossi il nuovo Baltic Microrotor (recentissima ed esauritissima Limited Edition che aveva un listino di 600 euro)?
“Ho conosciuto i ragazzi di Baltic e ho apprezzato la loro idea di fare orologi dignitosi – dignitosi, inteso per i canoni altissimi che abbiamo noi amanti della bella orologeria – a prezzi abbordabili. Non è l’orologio che fa la persona, è la persona che fa l’orologio! Il Baltic Microrotor ha una dimensione corretta, non è cafone, mentre oggi le misure sono sempre più grandi perché per gran parte dei marchi contemporanei e dei relativi clienti l’orologio non è un oggetto da indossare ma da ostentare. Baltic, insieme a tanti altri marchi emergenti, si sta muovendo bene. È un orologio che puoi portare con grande piacere senza correre il rischio di essere aggredito e rapinato. E lo ripeto: al polso è un bell’oggetto. Io poi gli ho cambiato il cinturino e gli ho messo un bracciale vintage per renderlo un po’ più mio.”
Cosa indossi in questo momento?
“Un Calatrava degli anni Cinquanta che ha un diametro di 33 millimetri. Questo ti fa capire il mio amore per gli orologi fuori dal coro.”
Quali altri marchi indipendenti intorno al target dei mille euro ti piacciono?
“Sono un grande amante di Squale. Sia d’epoca che attuali, perché con intelligenza la collezione contemporanea è molto fedele ai modelli storici. Squale sta facendo un ottimo lavoro. Un altro brand che mi piace intorno a questo target è Alsta, famoso per il suo Nautoscaph indossato da Richard Dreyfuss nel film ‘Lo Squalo’. Mi diverto a indossare queste ‘chicche’. Gli orologi che mi piacevano da ragazzo e poi da adulto, con gli anni, li ho acquistati tutti, che poi, soprattutto, sono gli sportivi vintage di Rolex, Patek Philippe e Omega. Per una passione che arriva da lontano, visto che il Nautilus Ref. 3700 l’ho pagato 10mila euro quando nessuno lo voleva. Buon gusto e occhio per le cose belle sono gli ingredienti non solo della mia collezione di orologi ma anche del mio essere. Negli anni Ottanta e Novanta la gente comprava i Rolex nuovi, mentre io avevo la fissa per quelli vecchi, come i Gmt Master. E oggi mi diverto con Squale, Alsta e Baltic.”
È noto l’episodio dell’acquisto del tuo primo Rolex. Vuoi ricordarcelo?
“Un milione di anni fa vado da Ricci, il concessionario Rolex di Forlì, per acquistare un Submariner, ma era aumentato di prezzo e con le 900mila lire che avevo io mi ha proposto un Daytona 6263 che ho ancora e che adoro. Da quel giorno ho capito che sono un uomo fortunato.”
Che rapporto hai con le aste e come giudichi il trend pazzesco degli ultimi tempi con record continui?
“Non sono un amante delle aste. Adesso è tutto quanto fuori controllo. Prendiamo il Nautilus 5711 quadrante verde. Listino a 30mila euro, appena uscito è andato all’asta a 430mila euro! Come si fa a dire che qualcosa non torna? Dai, non ci vuole la zingara per capirlo. Anche per questo motivo mi passa la voglia, perché è chiaro che c’è una speculazione dietro, una strategia occulta, magari studiata dalla stessa Patek. Ma anche se fosse, bisogna dire bravi a Patek o a chi l’ha attuata, perché così ne parla tutto il mondo e chi insegue lo status va giù di testa.”
Hai mai comprato un orologio nuovo sopra listino?
“Ma figurati! È proprio contro il mio modo di pensare. Compro l’oggetto che mi piace ma non deve diventare un sacrificio o una presa in giro. Però la gente vive di queste cose, legate allo status. Perciò, in chiave dei risultati economici, bravi loro che riescono a mettere in moto questi meccanismi. Diversi orologi che possiedo hanno raggiunto cifre da capogiro, però sarei curioso di vedere, nell’eventualità della vendita, se questi prezzi sono reali, se davvero fanno a botte per comprarmeli. Per me è una gran bolla. Che non vuol dire che gli orologi caleranno perché è una vita che sento dire che certi orologi calano e invece non succede mai. Probabilmente passeranno delle mode e arriverà la fase calante, soprattutto per gli orologi nuovi a prezzi stellari. Per questa tipologia ho forti dubbi che possano mantenere il prezzo in futuro. Un modello su tutti? Gli Aquanaut. Quando un oggetto è di moda si impazzisce per averlo ma quando cala, il collezionista che la pensa come me non fa la guerra per comprarlo.”
Cosa ne pensi dell’aumento dei prezzi, con modelli sempre identici che in pochi anni hanno all’incirca raddoppiato il loro listino?
“Purtroppo, nello specifico dell’attualità, l’aumento generalizzato dei prezzi è giustificato dall’aumento delle materie prime. In questo senso posso farti l’esempio di Fortela. Noi compriamo le t-shirt in Giappone e sull’ultimo ordine della settimana scorsa di 3mila t-shirt c’è stato un aumento del 30%. È vero però che il mio Nautilus 5711 l’ho comprato nel 2007 e l’ho pagato 15mila euro e oggi lo stesso orologio, di listino, prima di uscire di produzione, andava al doppio. E non è che Patek gli abbia aggiunto delle migliorie: l’orologio è identico.”
A proposito di qualità reale e percepita, nelle chiacchiere da bar si arrivano a fare paragoni estremi per caratteristiche di quadrante e cassa simili, per esempio, accostando il Baltic Microrotor da 600 euro con un Calatrava da 40mila euro. Cosa ne pensi?
“Be’ è ovvio che i margini di Patek sono colossali rispetto a quelli di Baltic, però, con simili paragoni, si corre il rischio di fare confusione. Far passare il concetto che sono orologi paragonabili è semplicemente assurdo. Ti faccio ancora l’esempio della moda. Una t-shirt bianca è una t-shirt bianca, c’è poco da fare. Quella però che costa 10 euro dopo che la lavi per sei mesi diventa uno straccio. Quella invece di Fortela più la porti più diventa bella perché è fatta con un tessuto giapponese che costa 25 euro al metro ed è cucita e lavorata con appositi macchinari degli anni Trenta. In orologeria la manifattura di qualità si muove sullo stesso principio. Un altro esempio che mi sembra calzante è quello automobilistico. A Milano, da Rimini, ci arrivi sia se guidi una Classe G sia una Fiat Panda ma la qualità del viaggio è inevitabilmente diversa. È chiaro che il rapporto qualità prezzo di un Baltic Microrotor è pazzesco ma un Calatrava di Patek è un’altra cosa. Perché nell’orologeria, come nella vita, sono i dettagli che fanno la differenza.”
E quali sono gli orologi contemporanei d’alta gamma che adesso fanno la differenza?
“Trovo meraviglioso lo Speedmaster sia nelle versioni del Moonwatch con il movimento 3861 sia in quella del Calibro 321. Omega con lo Speedmaster, a differenza di Rolex con il Daytona, è stata brava a non togliergli quella vena vintage che gli dona grande fascino. Poi apprezzo l’Octo Finissimo perché oggi ha rotto i canoni estetico-tecnici come ha fatto il Nautilus negli anni Settanta. E amo molto l’Overseas di Vacheron Constatin: è un prodotto di altissimo livello che non ha nulla in meno della concorrenza degli sportivi di Patek e Audemars Piguet, anzi. E difatti molti di questi modelli contemporanei sono in lista d’attesa.”
A proposito delle liste d’attesa, cosa ne pensi?
“Come imprenditore gli dico bravi perché creare l’aspettativa è una leva di marketing straordinaria che funziona sempre, ovviamente se il prodotto è vincente. D’altronde la lista d’attesa c’è anche da Hermès per la Birkin. È una situazione che fa parte del gioco. Altrimenti, se tutto fosse immediatamente a disposizione, non avresti l’oggetto del desiderio.”
Concludiamo con Fortela. Facendo un paragone con l’orologeria, chi ti è d’ispirazione?
“La strada che abbiamo scelto per Fortela è la più difficile in assoluto perché facciamo prodotti con contenuti di grande qualità che non seguono le mode. Non ci rivolgiamo alla clientela che rincorre lo status ma alla nicchia capace di percepire il valore aggiunto di prodotti che sono riconoscibili da lontano non perché c’è un logo ma perché hanno un sapore differente, perché i nostri prodotti non si buttano via e quando te ne stanchi li metti nell’armadio e poi tre anni dopo li puoi indossare ancora perché non sarai mai fuori moda. Perciò, il paragone che non vuole essere irriverente, è con la più bella pubblicità della storia dell’orologeria: ‘Un Patek Philippe non si possiede mai completamente. Semplicemente, si custodisce. E si tramanda’.”
By Michele Mengoli